Ven. Nov 14th, 2025

Nel 1975 la popolazione italiana ammontava a 55milioni, in quello stesso anno nacquero 1milione di bambini. A distanza di cinquant’anni il bel paese conta meno di 59milioni di abitanti e nel 2024 si contano 370mila nascite. La popolazione italiana ha toccato il suo massimo nel 2014 con la cifra di 60.796milioni. Il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo nel 2021, a Trieste, aveva tracciato il quadro di un paese in forte declino demografico. La Population Division dell’ONU prevede che nel 2070 la popolazione italiana sarà scesa a meno di 40milioni, un crollo secco di abitanti con una popolazione mondiale che crescerà, verso fine secolo, fino a 9-10miliardi, per poi iniziare una fase di decrescita già avviata in grandi paesi come India e Cina.  Nel libro: Gli Ultimi Italiani, Solferino, Milano, 2022, Roberto Volpi, demografo e scrittore, offre un quadro della situazione odierna ed a venire, a partire dai dati acquisiti e sviluppati dall’ISTAT e da enti internazionali dell’ONU. L’Italia ha impiegato ottocento anni, fra il 1000 e il 1800, per passare dai 10milioni ai 30milioni di abitanti e rischia, nei prossimi decenni, di depauperarsi perdendone fra i 20 ed i 30 rispetto ai 59milioni di oggi. L’analisi copre un periodo che fissa il 2070 quale data di riferimento.  Le previsioni a lunga scadenza sono sempre da prendere con le pinze ma la preoccupazione si fa seria quando i dati in possesso sono certi e contemporanei e si concentrano su un periodo di media ampiezza 1975-2070. Afferma Roberto Volpi: “Se una popolazione perde abitanti fino a dimezzarsi o quasi nel giro di ottant’anni niente resta al suo posto, tutto decade, si impoverisce, invecchia, si sfalda. Si prepara al trapasso”. 

Quando è cominciato tutto questo?

Nel 1976 la pillola anticoncezionale fece in suo ingresso trionfale nell’arena del mondo nuovo preconizzato da Aldous Huxley, votato al progresso e all’innovazione. Fu una rivoluzione, si poteva scindere il sesso dall’atto procreativo, si poteva assaporare l’ebrezza di amarsi senza impegnarsi e senza bruciare i ponti dietro si sé, eliminando quel fastidiosissimo “per sempre”. Fu la scoperta “dell’amore libero”. Papa Paolo VI tentò di mettere una pezza con il suo insegnamento sull’amore coniugale e l’enciclica “Humanae Vitae”. Mal gliene incolse, la reazione fu negativa, da allora iniziò il propagarsi dell’ideologia antinatalista e la diffusione delle dottrine ambientaliste che approdarono all’idea dell’uomo “cancro della natura” dell’antropologo Peter Singer. Non solo faccio l’amore quando e con chi mi pare ma ho una giustificazione “ideale” nel farlo, diffondo libertà, responsabilità e proteggo il pianeta dalla distruzione. Gli anni settanta del XX secolo furono cruciali e partorirono Divorzio (1970), Nuovo Diritto di Famiglia (1975), Aborto (1978), preparando le derive eutanasiche, ambientaliste ed animaliste. Non è un caso che il 1975 è l’anno dell’inizio del declino della natalità.

Matrimonio e Natalità… il “per sempre”

Nel 1968 vennero celebrati 374.097 matrimoni dei quali il 98% erano religiosi e il 2% civili. L’età media degli sposi era di 24 anni per la sposa e 27 per lo sposo, età fortemente riproduttive. Nel 2023 sono stati celebrati 184.207 matrimoni, dei quali il 58,9% con rito civile, un ribaltamento culturale radicale. Occorre notare che in Italia il crollo del matrimonio religioso non è stato compensato dalla crescita del matrimonio civile, come avvenuto in altri paesi europei. E’ il matrimonio in sé ad essere venuto meno, è il “per sempre” che terrorizza, che si vuole a tutti i costi evitare, meglio una libera convivenza e un figlio quando decidi o se capita, è il figlio per noi, non noi per il figlio, il trionfo dell’individualismo. Aumentano le nascite fuori dal matrimonio, diminuiscono quelle nel matrimonio “mai come oggi la coppia uomo-donna ha rappresentato la configurazione essenziale, basilare dei rapporti interpersonali nella sfera sentimentale-sessuale”, le famose famiglie allargate, propagandate dalle fiction della TV, rappresentano un fenomeno marginale, una eccezione. Il crollo del matrimonio religioso è direttamente legato alla legalizzazione del divorzio “dal 1975… il numero dei matrimoni annui celebrati con rito religioso comincia la sua cavalcata a ritroso che non sembra ancora finita” è quel maledetto “per sempre” a liquefarsi, ad entrare in crisi e, come un gatto che si morde la coda, essere al contempo causa e sintomo di una crisi religiosa e culturale che sfocia in una crisi civile che mette in forse la stessa esistenza di una nazione. Non è un caso che tutti i tentativi di promuovere politiche a sostegno alla natalità: incremento degli assegni familiari, misure per i congedi parentali, facilitazioni per acquisto prima casa, asili nido gratuiti e bonus vari, promossi nei paesi occidentali, sono stati un flop. Non è una questione di soldi, non faccio un figlio perché ho i soldi per farlo, si tratta di una questione culturale oltre che di stabilità sociale. Come ha dimostrato un’inchiesta del 2024 di John Burn Murdoch sul Financial Times, gli investimenti economici occidentali sulla famiglia non incidono significativamente sulla direzione della navigazione demografica.  Roberto Volpi arriva al dunque e, basandosi rigorosamente su dati statistici scrive “E’ arrivato il momento di fare chiarezza sul rapporto tra de-nuzialità religiosa e denatalità … non si nasce più da quando gli italiani hanno smesso di sposarsi in chiesa, davanti al prete e all’altare, rinunciando al tanto evocato e bistrattato, temuto e santificato «per sempre». La correlazione tra matrimoni religiosi e nascite, calcolata sui dati annui dal 1948 a oggi, è di 0,921. Ora siccome il massimo della correlazione positiva è 1, si capisce bene che ai movimenti del numero dei matrimoni religiosi corrispondono movimenti nella stessa direzione e pressochè della stessa entità delle nascite”. Si tratta di una concordanza, un dato oggettivo, che dovrebbe fare riflettere soprattutto perché le previsioni sull’andamento demografico italiano non sono semplicemente negative, sono, bensì, disastrose. 

L’apporto degli stranieri?

L’Humanae Vitae di Paolo VI non fa cenno ai bambini che non sarebbero più nati, neppure il Papa avvertì che la crisi del matrimonio religioso e la cultura dell’amore libero, insieme alla secolarizzazione, avrebbero determinato una paurosa denatalità con conseguenze economiche e geopolitiche da fare tramare i polsi. L’apporto dei migranti su questo fronte non è determinante. Se nel 2070 si prevede la presenza di 13 milioni di stranieri è pure vero che il totale delle donne in età feconda (15-49 anni) si aggirerà intorno al 33,5% del totale delle donne. Nel 2000 erano il 47% ed oggi sono il 39,4%. Anche se nel 2070 il tasso di fecondità previsto (numero bambini per donna) sarà di 1,5, superiore a quello attuale del 1,2, la sua incidenza va calcolata sul totale delle donne in età feconda, decisamente inferiore, come indicato, di molti punti percentuali, -14 rispetto all’anno 2000 e -6 rispetto ad oggi. L’apporto delle donne straniere sulla nascita dei bambini è solo un lenitivo, non risolve nè modifica il trend negativo, afferma Volpi “facendo 100 il totale delle nascite attuali in Italia, abbiamo che 15 di queste sono dovute a genitori entrambi stranieri, 7 a coppie in cui un genitore è straniero, e dunque complessivamente 22 sono nascite da almeno un genitore straniero”.  Nonostante l’Italia sia campione mondiale nella concessione della cittadinanza, oltre 1milione700mila al 2020, questo dato sul piano del tracollo demografico incide poco.

Gli ultimi italiani?

Sarebbe lungo e penoso, anche se il libro ne fa cenno con puntualità, descrivere l’evoluzione del rapporto tra il numero dei giovani e quello degli anziani. Continuando con il passo odierno “nel 2070 gli italiani avranno un’età media di 50,7 anni… un indice di vecchiaia di 296 anziani ultrassessantacinquenni ogni cento bambini e ragazzi fino a quattordici anni, di oltre 100 punti superiore all’indice attuale di 183, il più alto d’Europa”. La pena che suscitano tali numeri la lasciamo al lettore del libro. Roberto Volpi si chiede se c’è una speranza di invertire la storia così come la prospettano, impietosamente, i numeri. Secondo l’autore, i prossimi 10-15 anni saranno cruciali per cercare di “afferrare” la situazione per i capelli, prendendo scelte coraggiose e difficili, a condizione di:

  •  accorciare i percorsi educativi e professionali di studio;
  • lavorare sul piano programmatico e legislativo alla creazione di un mercato del lavoro aperto, il più possibile indirizzato e favorevole ai giovani;
  • ripensare a fondo i meccanismi di un ascensore sociale troppo lento e zavorrato da criteri che non sono (a) il merito e (b) la voglia di fare;
  • cambiare rotta sulle politiche familiari modificandone la natura, da assistenziale a strutturale, il che comporta la rimozione di tutti i limiti, anche quello reddituale.

Tutto questo richiederebbe un intervento politico deciso e straordinario e, soprattutto, corale. La sinistra, e parte del centro destra, hanno evidenziato, sinora, una cultura politica antinatalista, radical-ambientalista e individualista, volta a porsi problemi intorno alla morte più che alla vita, quindi contraria ad ogni progetto vero di rilancio demografico. L’Italia è l’ultimo paese al mondo per nascite ogni 1000 abitanti, se non si interverrà con misure straordinarie nei prossimi 10-15 anni ”sperimenterà cos’è il tramonto di una popolazione, di una grande popolazione moderna”. Si potrebbe aggiungere che l’apporto culturale decisivo potrebbe venire da una Chiesa Cattolica che ricominciasse a proporre una evangelizzazione di stampo profetico, senza compromessi con il “mondo” e l’ideologia progressista, la cui cultura sta alla radice dell’attuale debacle antropologica dell’occidente. Alzando le bandiere della vita e della famiglia senza se e senza ma, senza compromessi con il “minor danno” che, l’esperienza insegna, procurano danni di gran lunga maggiori di quelli che si vorrebbero evitare.

Paolo Piro

Roberto Volpi, Gli Ultimi Italiani, Solferino, Milano, 2022.

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