
Le uova di pasqua dello Zar sono famose in tutto il mondo, oggi le uova a sorpresa sono quelle di Putin il quale, in concomitanza con l’80° anniversario della vittoria russa sul nazifascismo, ha decretato che l’aeroporto di Volgograd, già Stalingrado, sia intitolato a Stalin. Dal 30 aprile 2025 lo scalo aereo si chiama “Aeroporto Internazionale di Stalingrado”. Il recupero e la riabilitazione della figura di Stalin, assolto dai suoi crimini in forza della vittoria contro il nazifascismo che il leader riportò nella seconda guerra mondiale, è solo uno dei segnali di ritorno alla grande Russia, anche in salsa sovietica. Il regime presenta l’invasione dell’Ucraina come un atto di denazificazione, una ripresa dell’eroica lotta che Stalin portò a termine l’8 maggio 1945. La cosa non ha sorpreso chi conosce l’ideologia che ispira il Presidente russo, la Russkij mir, letteralmente “Mondo russo”. Il termine mir è tradotto anche come “pace”, traduzione inquietante perché ammetterebbe una “pace secondo loro”, come avviene per l’idea di giustizia nell’islam. E’ la pace di Putin che si fonda sulla costruzione di una realtà in cui l’identità russa è un coacervo di tradizione religiosa ed ideologica, la chiesa cristiana ortodossa di Mosca ne sarebbe un’indispensabile fondamento. Per la Russkij mir Il mondo russo è una realtà internazionale formata da tutti coloro che parlano la lingua russa, ovunque risiedano, e da tutte le persone e gli enti che apprezzano la Russia e la sua cultura, ne diffondono le virtù, la storia passata e presente letta, quest’ultima, come l’ultimo baluardo dei veri valori tradizionali che l’occidente ha tradito. L’idea avrebbe una dimensione transnazionale e metafisica perché travalica i confini fisici russi per acquisire un respiro universalista che supera le barriere statuali e culturali. Un’autoconsiderazione che ricorda il primo Partito Comunista, il partito unico che aveva sedi in tutto il mondo, non a caso il partito di Togliatti si chiamava Partito Comunista d’Italia, non “Partito Comunista Italiano”, nome acquisito nel secondo dopoguerra. Per Vladimir Putin la più importante risorsa della Russia per costruire il suo avvenire è il suo passato, quindi è indispensabile diffondere il patriottismo e combattere tutto quello che falsa e scredita questo patrimonio. Il percorso politico di Putin ha trovato nella Russkij mir un approdo, l’ideologia capace di ispirare una politica coerente che si nutra di esperienze di potere maturate dal modello sovietico, centralista ed autoritario, geopolitico, anti-ecumenico e separatista, e da quello zarista, pervasivo e assolutista. In questa visione l’Occidente è considerato fonte di corruzione all’incirca come l’URSS lo considerava espressione della borghesia mondiale. Come l’islam ha inventato l’islamofobia, trasferendo ogni colpa dall’aggressore all’aggredito, in modo similare è stata ideata la russofobia. Ambedue i concetti sono fatti apposta per criminalizzare qualunque atteggiamento critico considerato una lesione del diritto all’essere ed all’espandersi dell’Islam come del Mondo russo, con tutto l’apparato di propaganda che ne segue. Nel caso di Putin, si tratterebbe della restaurazione di un Impero che sembra oscillare tra la nostalgia per la grandezza zarista e quella per la grandezza sovietica, oscillazione che concede diritto di cittadinanza ai bianchi ed ai rossi, tutti accolti sotto il cielo della Russkij mir. Insomma la Russia come idea suprema letta in chiave eurasiana, in cui la corrotta Europa sarebbe una penisola dell’Asia, in senso geografico e geopolitico. In questa chiave trovano giustificazione lo sterminio stalinista di cinque milioni di Kulaki (1932-33) e la vendetta di Katyn dove i sovietici trucidarono 22.000 ufficiali dell’esercito polacco. La Polonia pagò a caro prezzo due “peccati” commessi contro la grande Russia Sovietica. Il primo perché la Polonia è terra slava quindi sarebbe dovuta rientrare nell’area di influenza dell’impero russo, il secondo peccato risale al 1920 quando, nei pressi di Varsavia, l’esercito polacco al comando del Gen. Jozef Pilsudski, fermò e sconfisse l’Armata Rossa, segnando la fine delle aspirazioni di Lenin di espandere la rivoluzione sovietica in Europa occidentale. Il progetto di espansione del comunismo in Europa dovette essere rimandato al 1945. La “Grande Russia” punisce il dissenso e conserva memoria dei torti subiti. Visti i precedenti, tale spirito non è da sottovalutare anche per i giorni a venire. Le modalità operative della Russkij mir ricalcano un modello noto: sistematica eliminazione degli oppositori politici, controllo di coloro che intrattengono rapporti con l’estero, fra questi i cattolici, monitoraggio di chiunque critichi anche genericamente il regime, disinformazione, censura e rilettura della storia, ricerca di consenso all’estero promuovendo associazioni culturali, creando, per esempio, un improbabile “Ambasciatore della Famiglia nel Mondo” a difesa di valori condivisi con cittadini di altri Paesi, approcci ed alleanze con stati vessati da quello che fu il colonialismo occidentale. Sul piano dei metodi nulla di nuovo sotto il sole, un cliché senza fantasia. La Russkij mir sembra un’insalata, una sorta di “sovietismo zarista” con l’imprimatur di una Chiesa Cristiano Ortodossia che si propone, con stile ancillare, in alternativa a Roma. Secondo Adriano dell’Asta “Putin nel primo periodo, durante i suoi primi due mandati, non aveva una ideologia sua, non era un visionario” (Vds. La “Pace russa”. La teologia politica di Putin, ed, Scolé, 2023), con un lento processo è approdato alla Russkij mir un coacervo di idee bianco-rosse che non fanno presagire nulla di buono. Una preoccupazione potenziata da una Unione Europea inconcludente ed autoreferenziale, troppo impegnata in un dannoso green deal e screditata da iniziative di gruppi di “volenterosi”, con partecipazioni esterne all’UE, i cui membri vantano nei loro Paesi, solide “minoranze” parlamentari. Se il quadro tratteggiato ha un fondamento si dovrebbero avvisare i cittadini dei Paesi europei che “abbiamo un problema!”, pure grosso ed urgente, e neppure uno straccio di potere politico in grado di affrontarlo.
Paolo Piro